Siamo ormai prossimi al Natale, Paskiscedda in sardo campidanese, e già vedo e leggo fervori in ogni dove...che mi riportano indietro nel tempo a riscoprire le tradizioni della mia terra. Ho trovato questo articolo, molto bello, sulle tradizioni natalizie in Sardegna, è abbastanza lungo, ho cercato di abbreviarlo il più possibile, ma data l'enorme quantità di informazioni non mi sono sentita di risparmiare alcune parti simboliche. E' comunque molto scorrevole e molto piacevole, spero possa interessare come è interessato a me....buona lettura!
Per il mondo cristiano, ormai da duemila anni, l’antico processo di transizione legato al solstizio d’inverno coincide con le feste natalizie. Infatti, verso il 336 d. C. il giorno della Natività fu fissato il 25 dicembre, come anniversario della nascita di Gesù Cristo, partendo dalla data della “Pasqua Ebraica”, cioè dal presunto periodo di concepimento del Messia .
Nella tradizione sarda, il Natale costituiva (ma è così ancora oggi, seppur con usi differenti rispetto al passato) un significativo momento di festa per quanto riguarda gli aspetti socializzanti. In particolare, il Natale era l’occasione ideale per ribadire e ripristinare la coesione del nucleo familiare, temporaneamente disgregato a causa delle numerose inderogabilità imposte dai vincoli derivanti dal mondo lavorativo, che si contrapponeva come momento alternativo alla quotidianità d’ogni giorno e quindi, come momento di rottura al tempo della produzione. Al riguardo, si pensi alla ricomposizione dei nuclei familiari dei pastori, durante la transumanza invernale, o anche, nell’attuale periodo socio-economico, al ritorno degli emigrati che in prossimità delle feste natalizie, affrontano lunghi viaggi, pur di trascorrere questa ricorrenza insieme ai loro cari .
Secondo le consuetudini del passato, ma al riguardo possiamo sostenerlo pure per quelle attuali, il momento cardine che sanciva la ricomposizione di ciascun nucleo familiare e quindi, anche la ripresa dei contatti con gli amici lontani, era proprio la notte della Vigilia di Natale, definita dalla tradizione campidanese come: “sa nott’è xena”. Infatti, al calar della sera del 24 dicembre, in ogni paese le diverse famiglie si riunivano al caldo tepore del focolare domestico, in casa del più anziano componente del gruppo di parentela. In quest’occasione il caminetto rappresentava il centro delle attività di soggiorno di ciascuna famiglia e quindi, il punto di emanazione del calore necessario a mitigare le fredde temperature invernali, che rendeva più suggestivi l’ambiente festivo e l’attesa notturna, facendo acquisire alla “Notte di Natale” un non so che di magico e misterioso per rutti i congregati. Per questo motivo era consuetudine imbiancare anticipatamente la stufa per ardervi durante la Vigilia, un grosso ceppo appositamente tagliato e conservato per l’occasione, denominato: “su truncu de xena o cotzi(n)a de xena” , che doveva restare acceso per tutto il periodo festivo. E proprio accanto al piacevole tepore emanato dal fuoco l’intero gruppo familiare consumava in allegria un’abbondante e saporita cena, a base di porchetto , agnello o capretto arrosto, di frattaglie (sa tratalia e sa corda) o anche di formaggio e salsicce secche ottenute dal maiale allevato in casa e macellato anzitempo.
Fino a pochi decenni or sono, quando ancora la povertà e la fame erano situazioni concrete del vivere quotidiano di tante famiglie, i giorni di festa come il Natale costituivano le uniche occasioni possibili per fruire di un pasto più ricco del normale. Non mancavano al riguardo le eccezioni, perché laddove le condizioni socio-economiche di talune famiglie erano veramente drammatiche, anche in queste circostanze il pasto era appena appena più abbondante di quello frugale d’ogni giorno e talvolta, privo addirittura del pane . Al riguardo, gli anziani ricordano ancora oggi come in passato la carne fosse una pietanza eccezionale che non tutti si potevano permettere e di cui si usufruiva soltanto in situazioni particolari come le feste di Natale, Pasqua e qualche altra importante festività paesana.
Tuttavia, contrariamente a quanto prima evidenziato circa la “Veglia di Natale” caratterizzata dall’abbondanza di cibi e bevande , diversi studiosi sottolineano come nel corso dell’Ottocento, nonostante “sa nott’è xena” fosse caratterizzata da un’aria di festosa letizia, il pasto della Vigilia fosse veramente frugale, giacché il digiuno per quella circostanza era una norma consolidata .
L’abbondante consumo di cibi infatti, avveniva solo il giorno della festa vera e propria, ovvero il 25 dicembre e non pure la notte precedente il Natale, perché soltanto alla fine del XIX secolo si sviluppò l’usanza di consumare cibi abbondanti anche durante la Vigilia.
Secondo questa consuetudine i preparativi per il “cenone” iniziavano già da alcuni giorni precedenti la “Notte Santa”, con la scelta e l’acquisto, in abbondanza, dei cibi e del vino da consumare. Al riguardo, la tradizione orale racconta come in quella circostanza il consumo di tutte le pietanze preparate diventasse un obbligo per tutti. E proprio per questo motivo, spesso e volentieri, si ammonivano i bambini a mangiare abbondantemente, altrimenti una terribile megera chiamata “Maria Puntaborru” (in alcuni paesi del Campidano) o “Palpaeccia” (in altri paesi dell’interno), avrebbe tastato il loro ventre durante il sonno e se questo fosse risultato vuoto, la strega avrebbe infilzato la loro pancia con uno spiedo appuntito, nel caso di Maria Puntaborru, oppure avrebbe messo sul loro stomaco una grossa pietra per schiacciarlo, in quello di Palpaeccia.
D’altronde, prima che la televisione, con le sue immagini suggestive, modificasse irreversibilmente le antiche usanze praticate durante la veglia natalizia, simili storielle erano il fulcro principale dei diversi racconti che costituivano il vasto repertorio della tradizione orale, che vedeva come protagonisti incontrastati gli anziani di famiglia. Infatti, erano proprio loro i narratori che, attorno al fuoco, raccontavano ai componenti più giovani, le numerose storie che oscillavano tra il fantastico ed il reale o che riguardavano avvenimenti importanti del loro passato. In alternativa a questi racconti, il momento d’attesa era trascorso giocando con giochi tradizionali del genere a sorteggio e a scommessa, quali “su barrallicu” , “arrodedas de conca de fusu”, “punta o cù”, “cavalieri in potu”, “tòmbula”, “matzetu” e “set’è mesu in craru”, che accomunavano ancora una volta tutta la comitiva familiare, composta da adulti e bambini, in un unico insieme . Un altro passatempo molto in uso nel Campidano di Cagliari prima della messa natalizia era il tradizionale ballo sardo, che si svolgeva al suono delle launeddas e dell’organetto. Ogni comitiva infatti provvedeva a dotarsi di un suonatore privato, perché il “suonatore obbligato” era già impegnato dai giovani “de Sa Zerachia”, i quali pagavano a testa uno starello di grano, per avere uno zampognaro a loro disposizione e poter ballare in tutti i giorni festivi nelle pubbliche piazze.
Con l’avvicinarsi della mezzanotte, tutti questi passatempi erano interrotti improvvisamente dai primi rintocchi delle campane, che avvisavano la gente dell’imminente inizio della “Messa di Natale”, denominata in sardo campidanese: ”Sa Miss’è Pudda”, ovvero la “messa del primo canto del gallo”, il cui termine, secondo gli studiosi, è di probabile derivazione catalana, poiché tra le tradizioni di Catalogna ricorre la cosiddetta “Missa del Gall” .
Per la “Messa di mezzanotte” tutte le chiese venivano addobbate di una gran quantità di ceri, così come si desume dai registri contabili delle Cause Pie di vari paesi , che per l’occasione regalavano ai presenti una suntuosa cornice di splendore e luminosità. Per questo ogni chiesa si affollava di fedeli, perché la cerimonia religiosa oltre a sancire la solennità dell’evento della “Natività”, rappresentava per la gente anche un’occasione favorevole per ritrovarsi con gli amici, i conoscenti o altri parenti non presenti al cenone di famiglia e scambiarsi tra la gaiezza collettiva gli auguri di Natale. Ma la messa costituiva anche un importante occasione per le donne gravide che custodivano una creatura nel proprio grembo, di compiere alcune pratiche magico-religiose e quindi, operazioni di tipo esorcistico necessarie a tutelare la nascita del loro bambino. La maggior parte delle donne infatti era convinta che se non avessero ascoltato la messa di mezzanotte, il prossimo nascituro sarebbe nato deforme, oppure avrebbe assunto sembianze animalesche . Del resto, anche a Sestu la memoria collettiva delle anziane del paese ci tramanda racconti che riprendono queste credenze e che io, personalmente, ho avuto modo di raccogliere durante le varie interviste che mi hanno rilasciato. In Passato quindi, si riteneva che, con la partecipazione della gestante alla “Messa di Natale”, al momento dell’elevazione del calice per la consacrazione del vino e dell’ostia, l’eventuale “mostro” che ella portava in seno si sarebbe trasformato in feto normale (“sa bestia si furrìada in cristia(n)u” . Al riguardo, proprio la tradizione orale sestese ricorda come una giovane venuta meno a quell’obbligo partorì un bambino deforme, il quale si trasformò immediatamente in un grande uccello nero che, prima di essere catturato ed eliminato, si mise a svolazzare pericolosamente per tutta la casa, gettando panico fra le varie persone presenti al parto .
Questi racconti denotano gli aspetti più “arcani” della ricorrenza natalizia, che ci riportano a credenze antichissime legate ad un substrato religioso di origine pre-cristiana, così come si riscontra ancora dalle storie rilevate in molti paesi del Campidano di Cagliari, dove si credeva che i nati la notte di Natale avessero la particolarità di non perdere denti e capelli durante la vita e di mantenere il corpo incorrotto anche dopo la morte (chini nascidi sa nott’è xena non purdiada asut’è terra) , o nel Logudoro dove invece si riteneva che coloro che nascevano in quella notte, potessero preservare dalle disgrazie sette case del vicinato . D’altra parte, le donne che praticavano la divinazione e la magia bianca, cioè coloro che la tradizione sarda a seconda delle aree di appartenenza definiva: “bruxas” o “deinas”, quando sentivano approssimarsi la loro fine, preparavano alla successione un’altra persona di fiducia per trasmetterle conoscenza e poteri e di norma questo passaggio si effettuava soltanto nel periodo che intercorre tra Natale e l’Epifania. [...]
Finita la messa, la maggior parte della gente se ne tornava a casa, mentre per strada restavano soltanto sparuti gruppi di “giovani avvinazzati” che, nell’oscurità della notte, continuavano i festeggiamenti, cimentandosi nei balli e in canti improvvisati che cessavano soltanto alle prime luci dell’alba.
Vi lascio con delle bellissime canzoni della tradizione natalizia sarda:
Naschid'est-Coro "Bachis Sulis" di Aritzo
Notte de Chelu-Coro polifonico di Scano Montiferro
E sarà Natale - Andrea Parodi e Tazenda
Grandissima interpretazione con bambini dell'indimenticato e indimenticabile genio della musica sarda ...
Ave Maria-Maria Giovanna Cherchi
Come non poter poi citare la sua bellissima voce, lei grande artista e bella persona, che conosco personalmente, insieme al fidanzato Pierpaolo che mi ha vista crescere con Padre Silvio, e sono sempre disponibili e non mancano di mandarmi i saluti!!!
Spero vi sia piaciuto....a domani!
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